4WuZHVegXm1cjf7tl8WGMqKqxE0 LA FIAMMA DEL PECCATO: 2013

venerdì 9 agosto 2013

Blue Jasmine - Review


Woody Allen is no more the innovative, outstanding director who realized masterpieces like Annie Hall, Manhattan, Zelig, Radio Days, Crimes and Misdemeanors, Shadows and Fog (in my opinion his last great movie). Those times are gone.
What can we axpect from him then? Pretty decent works like Match Point or Midnight in Paris, perhaps inspired comedies like The Curse of the Jade Scorpion, even bittersweet stories like Whatever Works
With Blue Jasmine Woody has done something which belongs to his past and, at the same time, is new and refreshing. The story of this wealthy woman, used to every kind of luxury, who suddenly loses everything and is forced to move to her sister's poor apartment in San Francisco, is nothing really new to him. But the director, painting this deep and moving fragile woman's portrait, has achieved the intensity of his best dramas. Jasmine's character is problematic, charming, sometimes miserable. Behind her good looks and her elegance the pain of loss (not only wealth) is painfully hidden, wasting a fragile mind like hers. Cate Blanchett is simply perfect at showing all the sides of this woman. She reminded me Gena Rowlands best performances: A Woman Under the Influence, Opening Night, Gloria. Cate deserves an Academy Award nomination for this role, no boubt about that. Sally Hawkins is a wonderful supporting actress as well.
Blue Jasmine in some ways talks about an America that is in trouble, that has made mistakes and can't hide anymore behind her financial power. And without money and luxury, just like Jasmine, America is likely to lose her identity...

domenica 21 luglio 2013

Only God Forgives - Review


I realized at last why I haven't written anything in the last weeks.
Simply I had nothing interesting to write about.
Then yesterday I saw Only God Forgives and here I am.

Forget Drive. That amazing, ipnotic movie was Nicolas Winding Refn's first mainstream, in terms of story and characters. Now he's back to his original world, made of allegories and symbols hidden behind the violence. And something more.
Before the silent and charming Ryan Gosling of Drive there were no heroes in Refn cinema, only weak men fighting against themselves most of the time. Julian, Gosling's character in Only God Forgives, is a lost son. He has no father and a mother he can't stop to loving even if she's a real witch. Refn shows the dark side of a family portrait where there are no good characters, only damaged ones.
Then suddenly a tough, metaphoric father arrives to punish their sins. Chang is a retired cop who has his own code, which he uses to rule his world. It's built with blood, just like most of Refn's main characters. I'm thinking about Mads Mikkelsen's role in Valhalla Rising, or Tom Hardy's one in Bronson, for example. The only one who recognizes the rules of the violent world he's living in is Julian, but he's to weak to oppose his mother's strength. The sequence in which Julian has a vision about Chang coming after him is astonishing, something comparable to David Lynch's puzzles. Refn shows the sexual impulse and the death omen without caring about the logical sequence of events. Sometimes the editing is really flooring, and follows the subconscious laws more than the rational ones.
So the battle for Julian's soul is set. A tough father versus an awful mother. Ryan Gosling's role is a sort of contemporary, painful Oedipus. He knows (spoiler alert!) that Chang's punishment of his brother Billy's crime is justice, in a perverse way. He doesn't want to oppose to this, but he has no way out because his mind is obsessed with Crystal/Kristin Scott Thomas. The only way to escape from this trap is to pay a blood cost.
Only God Forgives is set by Nicolas Winding Refn as a slow, obscure nightmare in which a struggling man runs towards his destiny, and in the end he accepts it. In a very cathartic way, the movie has an happy ending, because Julian pays for his sin (loving too much, being obsessed by a monster/mother) and survives, being the only one who understood Chang's system of rules and fought following them.
Only God Forgives could be something really difficult to embrace for the audience, there's no doubt about that. The comparison with Drive could be damaging, this two movies have different universes and rules. I've been hypnotized by Refn's ability to show the black soul of his characters and also their pain, their lack of a decent interior life. Only God Forgives has a very simple story, enhanced by great visual scenes and painful symbols.
This movie hurt me, and this is why I loved it.





venerdì 21 giugno 2013

World War Z - Recensione







Voto: 6/10

Niente di nuovo sul versante dei non morti. Però questo non è un difetto, dal momento che in questo caso la materia cinematografica è organizzata piuttosto bene, e visti i problemi produttivi che il film diretto da Marc Forster ha avuto sembra un mezzo miracolo. Si parte con la definizione precisa e stringata del personaggio di Gerry Lane. Abituato a trovarsi in giro per il mondo in posti "caldi", quando scoppia l'apocalisse lui regisce d'istinto, parla poco e con le sue azioni salva l'amata famiglia. Niente scene strappalacrime, niente effetti cercati, soltanto la mera lotta per la sopravvivenza. Brad Pitt riempie questo bel ruolo con un carisma invidiabile, World War Z è forse il film in cui maggiormente si rimane affascinati dalla sua presenza scenica. E' lui il centro del prodotto e lo sostiene con pienezza e potenza.
Narrativamente la storia è quella che tutti ci aspettiamo, però tiene bene e si sviluppa in maniera intelligente: il suo punto di forza è quello di evitare lo spettacolo roboante quando non serve, anzi andando a togliere l'inutile effetto fino a un finale sorprendente nella sua asciuttezza.
Se tutto sembra funzionare, perché allora World War Z non ha un voto più alto di un semplice 6? Difficile dirlo, il prodotto è confezionato con indubbia professionalità. Quello che manca è il sangue e ciò che esso comporta. I morti viventi sono sempre più animali rabbbiosi e sempre meno entità che rappresentano la devastazione umana: per evitare probabilmente i divieti ed accaparrarsi un pubblico sempre più grande, il sangue è ormai quasi totalmente eliminato dalla messa in scena. Ma un essere che torna dal mondo dei morti per divorare i vivi rimasti è molto più che una semplice scusa per mettere in scena il gore.
E' la negazione stessa dell'umanità, il confronto con un qualcosa di insondabile e spaventoso, una nemesi di ciò che la civiltà umana ha costruito in migliaia di anni. Il tabù del cannibalismo, la sua rappresentazione orrorifica, da questi film sembra ormai del tutto scomparso, e con esso la portata angosciosa che si portava dietro. Adesso gli zombie ti assalgono, ti ammazzano, ma non"profanano" più l'essere umano. World War Z è un bel film, diverte, fa saltare sulla poltrona e in alcuni momenti addirittura avvince. Ma provate a rivedervi i primi film di George A. Romero, La notte dei morti viventi oppure Zombie. Quello era cinema destabilizzante, che abbinava vera angoscia e domande esistenziali. Quei tempi sono passati, ok, nessun problema.
Ultima considerazione per la bravissima Mireille Enos, moglie di Pitt nel film. Mi pare un'attrice assolutamente promettente, capace di mostrare fragilità, dolcezza e insieme forza interiore. Mi sa che dovremo tenerla seriamente d'occhio...

P.S. - Considerazione vagamente patriottica: sono stato contento di vedere nel film Pierfrancesco Favino. Come sempre se la cava bene. Bravo.







venerdì 7 giugno 2013

The East - Recensione in anteprima

Voto: 5/10

Poteva uscirne fuori un film di denuncia davvero intrigante, e invece il lavoro del regista Zat Batmangij e dell'attrice e sceneggiatrice Brit Marling risulta un melodramma che promette ma non mantiene. Prima di tutto perché a convincere soltanto a tratti è proprio il gruppo di eco-terroristi al centro della vicenda. Le motivazioni dei suoi membri  sono deboli o ancor peggio retoriche, spesso ispirate a storie di frustrazione personale o desiderio di vendetta. Le loro azioni non regalano mai allo spettatore la sensazione che stiano per fare qualcosa di pericoloso o realmente esemplare. Data questa premessa tenue tutto di conseguenza si annacqua, ed è un peccato perché nella prima parte la figura della protagonista è veramente azzeccata. Brit Marling si costruisce addosso un personaggio secco, preciso, che si adatta benissimo al suo stile di recitazione trattenuto. Dopo Another Earth e Sound of My Voice si conferma un talento da tenere senz'altro d'occhio.
Peggio di lei fanno Ellen Page e Alexander Skarsgård, impantanati in ruoli più stereotipati. Dal canto suo Batmangij mette il tutto in scena in maniera abbastanza convenzionale, non sfruttando con originalità alcune buone trovate di storia e la performance della Marling e di una grande spalla come Patricia Clarkson. La delusione non è totale, ma The East non merita comunque la sufficienza nonostante le premesse potenzialmente intriganti.

Eccovi come al solito il trailer del film.
 
 


domenica 2 giugno 2013

After Earth, recensione in anteprima



Voto: 7/10

Il cinema di M. Night Shyamalan è cambiato dai tempi di The Sixth Sense, e in maniera probabilmente definitiva. Bisogna prenderne atto e lasciare da parte confronti a mio avviso fuorvianti rispetto al discorso che il cineasta sta portando avanti. Dopo il rovescio di E venne il giorno (secondo me il suo unico film difficilmente salvabile) e l'escursione quasi fanciullesca de L'ultimo dominatore dell'aria, eccolo tornare ad esplorare la fantascienza con l'arma che sa costruire e adoperare meglio: i personaggi. Ogni grande ritratto umano dipinto da Shyamalan ha una backstory che lo rende prezioso e insieme doloroso: lo psicologo di The Sixth Sense, la coppia di rivali di Unbreakable, il prete di Signs, il gruppo di The Village e il mio preferito, il Cleveland Heep di Lady in the Water. Cypher e Kitai, padre e figlio di After Earth, non fanno eccezione: un rapporto difficile, inaridito dalla lontananza, corroso dal dolore. Will Smith e suo figlio Jaden lo esplorano con pienezza, lavorano sui silenzi e sulla fisicità che la loro differente età ed esperienza comportano. Will in particolare è arcigno e insieme umanissimo, la sua figura è senz'altro quella più toccante delle due e l'attore la caratterizza con notevole verosimiglianza.
Il non detto in After Earth è più importante delle parole, ed è ciò che lega i due personaggi principali con un filo sottile ma potente, ma soprattutto emozionante. Shyamalan costruisce un'opera che cerca l'eleganza visiva senza puntare per forza all'originalità. I tempi delle sorprese narrative saranno anche passati, ma la volontà di dare un cuore pulsante ai suoi eroi è sempre presente ed efficace. Il film ha ovviamente dei difetti, alcune banalità nel sottotesto ecologista e una discreta dose di retorica, ma non merita assolutamente le stroncature ottenute negli Stati Uniti, tutt'altro. C'è chi ha messo il luce come la storia sia più che accostabile alla dottrina di Scientology di cui Will Smith a detta di molti è seguace. Possibile, anzi a ben vedere abbastanza probabile. Comunque non più di quanto a mio avviso lo era la trama di Hancock. La questione non mi rende certamente entusiasta, ma ciò non toglie che After Earth sia comunque a tratti vibrante.
A impreziosire poi una confezione già valevole ci sono le musiche del solito, straordinario James Newton Howard. Il lavoro sulle percussioni e sulla loro potenza espressiva ricorda quello vigoroso di Hans Zimmer, ma in più il collaboratore abituale di Shyamalan adopera come sempre gli archi con una dolcezza ancora insuperata. After Earth ha una magnifica colonna sonora, senz'altro differente da quella malinconica e cristallina di The Village o Lady in the Water ma allo stesso tempo piena di rimandi e di fascinazioni sonore. Arte della musica, non c'è dubbio.

Eccovi il trailer italiano del film.












mercoledì 29 maggio 2013

The Kings of Summer, recensione in anteprima



Voto: 7/10

Crescere non è mai una cosa facile.
Il percorso di avvicinamento al mondo adulto richiede molto spesso un sacrificio importante. Ci si deve lasciare alle spalle l'infanzia, periodo magico ma anche potenziale fonte di insicurezza e profondo dolore. L'adolescenza può essere inoltre il momento della ribellione, magari da un padre troppo stronzo perché non riesce ancora a metabolizzare la morte della moglie, oppure da genitori troppo perfetti che però hanno staccato la spina del vero ascolto nei confronti di loro figlio. Questo esperiscono i ragazzi di The Kings of Summer, i quali scelgono di fuggire dalle regole loro imposte e tornare alla natura, dove saranno loro a stabilire cosa è giusto e cosa non lo è. L'assunto principale del film diretto da Jordan Vogt-Roberts non è nuovissimo, così come il suo sviluppo. L'interesse primo nell'approccio a quest'opera sta però nella messa in scena, la quale anche se viziata da alcune ingenuità stilistiche riesce a mettere in scena l'età complicata dei protagonisti e la loro condizione attraverso un sottile ma palpabile velo di inquietudine.
Ci troviamo di fronte a una commedia, non c'è alcun dubbio, e la maggior parte dei personaggi di contorno ce lo ricordano continuamente e con ilare efficacia. Però allo stesso tempo assistiamo a un film sulla crescita, sulla privazione e sull'accettazione della finitezza umana, e non sono questioni che il film prende alla leggera, tutt'altro. La delicatezza del tocco non diventa mai mielosa, la storia procede su binari conosciuti ma solidi ed emozionanti, l'alchimia tra i tre giovani protagonisti Nick Robinson, Michael Basso e uno strepitoso Moises Arias è notevole. The Kings of Summer è in realtà un melodramma travestito da commmdia giovanile, un vero e proprio coming-of-age movie dove la malinconia si cela dietro ogni risata, senza però per questo renderla amara. Bella sorpresa.

Ecco il trailer di The Kings of Summer


domenica 19 maggio 2013

Gli stagisti (The Internship) - recensione in anteprima



Voto: 6/10

Non so se siete d'accordo ma la coppia Owen Wilson/Vince Vaughn con 2 Single a nozze ci aveva regalato una delle commedie più frizzanti e corrosive degli ultimi anni. In America si rivelò un successo clamoroso, sfondando abbondantemente il tetto dei duecento milioni di dollari d'incasso.
A distanza di otto anni i due attori tornano insieme per un prodotto che soltanto in apparenza rimanda a quello precedente. A ben vedere infatti Gli stagisti è una commedia molto più edificante di quanto non si possa immaginare vedendo il trailer. Ma questo non è assolutamente un difetto, tutt'altro. Sfruttando l'idea classica di una coppia di "svitati" piazzata in un ambiente che non compete loro neppure minimamente, Shawn Levy costruisce un film perfetto per far osrridere e strizzare l'occhio ai più giovani, ma anche adatto a quel pubblico adulto che probabilmente cerca in questo tipo di prodotti magari delle connessioni più forti che il solo divertimento. E allora cosa meglio di due uomini che perdono il lavoro e tentano di reinventarsi dentro la più grossa macchina di comunicazione del mondo, Google?
Il regista è quello di Una notte al museo, sa perfettamente come gestire questo tipo di produzioni. Lo dimostra in pieno questo film, cadenzato secondo un ritmo che sa quando accelerare con scene spassose e quando invece concedere spazio ai sentimenti più romantici o edificanti. Il confronto generazionale tra i due "mammuth" Wilson/Vaughn e i nuovi supernerd che come loro tentano la strada dell'interniship per garantisri un futuro (che arma tremenda lo stege...) è molto ben definito, così come l'immancabile love story. Il resto lo fanno i due protagonisti affitatatissimi. Non me ne voglia il buon Owen, ma per me il grande mattatore rimane Vince Vaughn con la sua fisicità esibita e la sua innata simpatia.
Merita di essere visto Gli stagisti, perché concede risate sincere e lascia lo spettatore con il dolce sapore  - anche un po' zuccheroso, perché no? - della buona commedia classica. Forse non è dirompente come 2 Single a nozze, ma quella come detto all'inizio era un'altra idea di commedia. E soprattutto erano altri tempi...

Eccovi il trailer de Gli stagisti

mercoledì 15 maggio 2013

James Franco parla de Il grande Gatsby



Bella idea quella del portale Vice.com, che ha ospitato James Franco per la recensione del film più discusso del momento, The Great Gatsby di Baz Luhrmann.
Un'analisi per nulla scontata, anzi piena di spunti quella dell'attore protagonista di 127 Ore e Il grande e potente Oz. Conferma che dietro la maschera dell'interprete c'è una mente senz'altro interessante.
Ecco la recensione de Il grande Gatsby pubblicata da James Franco.

domenica 12 maggio 2013

Corpi da reato (The Heat) - recensione in anteprima.



Voto 6/10

Vedere un buddy-movie al femminile non è cosa insolita. Vedere però le due protagoniste in ruoli da maschiaccio è tutt'altra faccenda. Questa è la peculiarità principale di The Heat, nuova collaborazione tra il regista Paul Feig e la nuova star comica Melissa McCarthy dopo il successo clamoroso di Bridesmaids. Ad aggiungersi alla coppia questa volta è Sandra Bullock, agente dell'F.B.I. assolutamente competente ma con qualche leggerissimo problema a lavorare con i colleghi. Cosa può succedere se allora viene trasferita da New York a Boston e deve collaborare con la più volgare e sbrigativa dei poliziotti, la McCarthy appunto?
Rispetto alla media delle commedie ridanciane e sguaiate a cui abbiamo assitito negli ultimi anni The Heat possiede qualcosa in più: le gags sono inserite in un contesto narrativo che conferisce loro maggiore efficacia, anche a quelle più feroci e forzate. Feig sa benissimo come assecondare la comicità delle sue protagoniste senza sovrapporre loro una messa in scena invasiva, tutt'altro. Aveva già dimostrato questa sensibilità in Bridesmaids, la conferma in pieno in questo nuovo lungometraggio. Il resto lo fa una sceneggiatura briosa e ben orchestrata tra momenti comici divertentissimi e altri più morbidi, dedicati ai buoni sentimenti. Tutto questo è ovviamente al servizio della Bullock e della McCarthy, perfette nel creare una notevole alchimia. Tra le due svetta comunque la seconda, che rispetto al meno riuscito Identity Thief (Io sono tu) dimostra di star crescendo come attrice, soprattutto nel contenere la sua naturale forza ilare e miscelarla con una sensibilità più soffusa.

Senza essere un film memorabile The Heat si conferma però un prodotto di puro intrattenimento più che competente: il segreto di questo tipo di produzioni è stare incollato alle caapcità degli attori, e Paul Feig svolge il proprio lavoro con lodevole diligenza. Il resto è divertimento, che in alcune scene diventa vera e propria comicità irresistibile.


mercoledì 8 maggio 2013

Ryan, Channing e gli altri...

Qualche tempo fa avevo dedicato un post alle giovani attrici attualmente sulla cresta dell'onda, cercando di individuarne i punti di forza ma anche le mancanze professionali. Adesso tocca agli attori. Come sempre, se ne ho dimenticato qualcuno, scrivetemi e segnalatemelo.


PROMOSSI

Ryan Gosling - Non potevamo che partire dall'attore culto di questi anni, dichiarando subito che non è tutto oro quel che luccica. A me pare si è sviluppata una sorta di ossessione collettiva nei confronti di Gosling, che alla lunga potrebbe danneggiarlo, se già non lo sta facendo. Due punti da mettere in chiaro: le sue interpretazioni migliori le ha regalate qualche anno fa, sono quelle straordinarie di Half Nelson, Lars e una ragazza tutta sua o Blue Valentine per esempio. Le parti per cui è diventato una star - mi riferisco soprattutto a Drive - sono eccellenti ma non il suo meglio. Poi Gosling ultimamente ha sbagliato un paio di film: in Gangster Squad appariva bollito e anche la parte in Come un tuono a mio avviso è stata sopravvalutata, andava molto sopra le righe. La promozione arriva perché è un attore di talento puro, probabilmente il migliore della sua generazione, e perché ha in arrivo i prossimi film di Nicolas Winding Refn e Terrence Malick. Gosling è un grande, ma al momento dovrebbe essere valutato con maggiore equilibrio da parte di critica e pubblico.



Channing Tatum - Il talento sarà anche limitato, inutile negarlo, ma quello che ha lo sta mettendo a frutto meravigliosamente. Da un paio d'anni a questa parte Tatum ha fatto tutto alla perfezione, in particolar modo ha azzeccato la scelta di ruoli che ne hanno evidenziato la simpatia un po' bambocciona e le doti fisiche. Risultato? Una serie di hit al botteghino impressionante, e almeno un paio di film molto ma molto riusciti. 21 Jump Street e Magic Mike sono da incorniciare, e anche alcuni degli altri non sono male, tutt'altro. Poi è l'attore che è uscito meglio dall'ultima notte degli Oscar: il suo numero di danza con Charlize Theron ha lasciato il segno. Se continua a lavorare con questa intelligenza e scioltezza, ha un futuro radioso davanti.




 

James Franco - E' un attore decisamente alterno, forse ancora un po' troppo, ma la sua ultima performance in Il grande e potente Oz è impressionante per la capacità di recitare come le star di un tempo. Anche in Spring Breakers mi ha convinto, al contrario del film. Mi sembra che spesso faccia scelte eccessivamente "celebrali", alle quali abbina blockbuster di sicuro incasso. La strategia rimane vincente, non c'è che dire, e se riuscirà a trovare sceneggiature migliori avrà la strada spianata. La sua interpretazione migliore per me rimane quella di Urlo, ma anche alcune partecipazioni stralunate un commedie demenziali valgono una segnalazione. Da This Is the End poi mi aspetto risate a crepapelle.








Ben Whishaw - Classe attoriale sopraffina, presenza scenica innata, uno sguardo malinconico che penetra qualsiasi corazza intorno la cuore. Questo è il futuro del cinema britannico e non solo. Io l'ho notato in quei pochi ma fantastici minuti in cui impersona Bob Dylan in Io non sono qui. Poi è arrivato Bright Star, per me il miglior film della Campion (lo so, me la rischio...) e infine la TV: la prima stagione di The Hour è un capolavoro, peccato non così la seconda. E adesso è arrivato il ruolo di Q in Skyfall e verosimilmente nelle prossime produzioni Bond. Sarà finalmente la consacrazione internazionale? Lo spero. A livello artistico per me è stato l'unico a salvarsi dalla tragedia di Cloud Atlas: ne serviva di talento per  riuscirci...








Jonah Hill - La metamorfosi che ha compiuto di recente non è soltanto fisica, ma anche attoriale: da star delle commedie ridanciane giovanili a attore più "serio".  Adessomi sembra viaggiare su un interessante equilibrio tra le due versioni. E comunque, Hill spacca in entrambi i casi! Bastano due cult come Superbad e 21 Jump Street per la prima categoria, mentre per la seconda c'è Moneyball (con tanto di nomination all'Oscar) e il prossimo film di Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street. E' inteligente, dalla simpatia naturale, discretamente capace davanti alla macchina da presa e soprattutto tifosissimo dei Los Angeles Lakers. Cosa chiedere di più?
 









RIMANDATI


Jesse Eisenberg - Dopo l'exploit di The Social Network mi aspettavo molto di più. E invece mi pare che questo giovane attore sia vagamente "pigro": si è scelto un filmetto scialbo come 30 Minutes or Less diretto dall'amico Ruben Fleischer, quello di Zombieland, e qualche altra produzione ultraindipendente, in cui per altro era molto convincente. Ah, sì, ha partecipato a From Rome With Love di Woody Allen, ma quel film tendo a dimenticarlo. Anzi, a volerlo dimenticare...Insomma, troppo poco per confermare la gentilezza del tocco e l'ironia che aveva messo in mostra in precedenza. Adesso però arriva Now You See Me: dal trailer Eisenberg ne esce benissimo, in veste supercool che per lui è una novità. E poi sarà il protagonista di The Double, seconda regia del genio comico di Richard Ayoade (guardatevi la serie TV The IT Crowd e capirete!). La risalita pare pronta, aspettiamo e vedremo.




Robert Pattinson - Un solo film può fare miracoli. O quasi. Se non fosse stato per Cosmopolis il bel Robert sarebbe così in fondo alla classifica che probabilmente finirebbe nel post sotto a questo. Ovviamente a causa del vampiro/barzelletta Edward Cullen, ruolo che l'attore ha riempito con la consistenza di un tonno. Poi però è arrivato provvidenziale Cronenberg, che l'ha messo al centro di un film allucinato e ipnotico. Pattinson l'ha ripagato con una prova sorprendente, segno che forse quando è diretto veramente qualcosa riesce ad esprimere. Nei prossimi progetti poi sembrano esserci una seconda collaborazione col regista canadese e poi Werner Herzog. Mica male!









Joseph Gordon-Levitt - Due punti a sfavore: si sta inflazionando a causa dei troppi film a cui partecipa, e quando recita insieme ad attori talentuosi non riesce a reggere il confronto. Era l'unica cosa che non funzionava di un film magnifico come Lincoln di Spielberg. Però di successi e consensi Joseph Gordon-Levitt in questi ultimi anni ne ha macinati, quindi non sarebbe stato giusto bocciarlo. Rimangono poi in mente le prove drammatico/romantiche di 500 Giorni di sole e 50 e 50, e quelle valgono eccome. Per il futuro il tanto chiacchierato esordio alla regia di Don Jon e Sin City 2. A me sembra che un po' lo stiamo sopravvalutando, ma aspetto smentita e ne sarei anche contento, che in fondo mi sta simpatico...







Tom Hiddleston - Se fosse soltanto una questione di simpatia, lo avrei senz'altro messo tra i promossi. Perché a me pare talentuoso e carismatico come pochi altri visti al cinema negli ultimi tempi. Però il rischio di rimanere incastrato a lungo nel ruolo di Loki è altissimo, visto il successo incredibile che ha ottenuto nei panni di questo villain. Tre film in tre anni non uno scherzo. A parte poi una particina in War Horse per il resto il grande schemro deve ancora scoprirlo veramente. A naso direi che il talento è presente, non dovrebbero esserci problemi. Però Hiddleston una carriera lontano dalle scazzottate coi supereroi Marvel deve ancora costruirsela, quindi meglio essere prundenti, anche se ottimisti...







Andrew Garfield - E' senz'altro una mancanza mia, ma io in questo attore non riesco a vedere le qualità che tutti gli altri vedono. In The Social Network veniva subissato da Eisenberg e anche da Timberlake, in The Amazing Spider-Man era relegato in un ruolo da teenager che a mio parere non sviluppava con profondità, anche se il film a dire il vero non glielo permetteva. Ah, belli i tempi di Raimi e Maguire...Sufficiente in Non lasciarmi, ma non di più. Perché Garfield è così apprezzato? Non lo capisco, e proprio per questo gli concedo ancora il beneficio del dubbio. L'ho visto a Broadway insieme a Philip Seymour Hoffman in Death of a Salesman: si impegna, questo bisogna dirlo, ma i risultati ancora devono raggiungere livelli considerevoli. A me non convince, ma visto il consenso generale probabilmente sto prendendo un granchio...





Zac Efron - Se sapesse scegliere un po' meglio i ruoli sarebbe a un livello di carriera ben più alto di quello comunque rispettabilissimo in cui si trova adesso. Perché bisogna concedergli che si impegna moltissimo e ha fatto enormi progressi da quando era una teen star della Disney. I ruoli li riempe con precisione, lo spessore drammatico è a buon punto. Gli manca ancora il film capace di far fare il salto di qualità ed essere preso veramente sul serio. Se però continua con questo impegno ho l'impressione che arriverà, e non tra molto. Mi interessa soprattutto il prossimo Townies, commedia diretta da Nicolas Stoller. Pazientiamo, Zac se lo merita.










BOCCIATI



Emile Hirsch - Ci troviamo di fronte a un evidente caso di sdoppiamento di persona: il talento di Into the Wild non può essere lo stesso de L'ora nera (che porcata!) e Venuto al mondo (idem). Una delle più madornali e avvilenti involuzioni d'attore  viste in tempi recenti, quasi paragonabile a quella di Edward Norton. Scelte a dir poco discutibili, interpretazioni svogliate anche quando i film erano più che interessanti, vedi l'ultimo Killer Joe di William Friedkin. Il prossimo war action di Peter Berg potrebbe risollevarne in parte la carriera? Onestamente lo spero perché a Hirsch sono affezionato, e proprio per questo ancora più deluso...









Chris Hemsworth - Ha girato Rush di Ron Howard, e il trailer promette meraviglie. Poi probabilmente lavorerà con "Sua Santità" Michael Mann, forse addirittura in due film. Quindi la tentazione di concedere il beneficio del dubbio al robusto manzo australiano era grande. Poi però ho pensato al Thor di Kenneth Branagh, al remake di Alba rossa, e non ce l'ho fatta. E con ottime ragioni. Per il momento è inespressivo, c'è poco da fare. Sopperirà con il fisicaccio da culturista magari, ma a me personalmente non basta. 











Michael Cera -  Lo metto nella lista dei bocciati con la morte nel cuore, credetemi. Perché il ragazzetto timido e impacciato di Superbad e Juno io ce l'ho proprio lì, nel cuore. Però il primo film da protagonista assoluto, Scott Pilgrim vs. the World, per quando divertentissimo è stato un mezzo fiasco, e da quel momento Michael è quasi del tutto scomparso dal radar del cinema che conta. Due progetti interessanti alle porte ci sarebbero: This is the End e la quarta stagione della serie cult Arrested Development. Ma è passato così tanto tempo dalla terza...E ce la farà Cera a reggere il confronto con tutti quegli attori comici, sia sul piccolo che sul grande schermo? Il dubbio è legittimo. Dai Michael, io comunque tifo ancora per te!




















lunedì 6 maggio 2013

Pain and Gain, recensione in anteprima



Voto: 5/10

Anche il pittoresco Michael Bay una volta tanto ha deciso di uscire dallo schema produttivo dei suoi ridondanti blockbuster e concedersi un film "piccolino" da soltanto 26 miloni di dollari di budget. Per farlo è tornato in quella Miami scintillante e posticcia teatro del film che ne aveva lanciato la carriera, Bad Boys. Ma al contrario della fracassona coppia di poliziotti formata da Will Smith e Martin Lawrence stavolta i personaggi che Bay mette in scena sono veramente cattivi ragazzi. La storia è quella realmente accaduta di Daniel Lugo, sciroccato fanatico del fitnenss che, per correre dietro alla sua personale visione del sogno americano, rapisce un antipaticissimo arricchito del luogo per intascare il riscatto insieme ai complici Paul Doyle e Adrian Doorbal. Siccome si tratta di tre palestrati accecati dal miraggio dei soldi facili e della vita lussuosa, talmente imbecilli che neanche i fratelli Coen sarebbero riusciti a inventarseli, il piano criminoso avrà le ovvie conseguenze impreviste...

Siamo come detto a Miami, in pieni anni '90: vi lascio immaginare quanto Bay si sia divertito a sguazzare nell'estetica pacchiana di quel per periodo. Pain and Gain è un frullato fosforescente di colori sgargianti, luci fiammeggianti, musica rozza e macchine lussuose. Niente di nuovo sotto questo punto di vista: il cinema di Bay è sempre quello, mantiene e stesse coordinate stilistiche che si tratti di un film da 300 milioni di dollari o di uno a budget più contenuto. Lo si deve accettare per quello che è, intrattenimento coattissimo. Anche la sceneggiatura non propone psicologie sottili o una trama organizzata con sapienza, ma corre dietro alle folli idee di questi tre sgangherati criminali.
Dietro all'ostentata cafonaggine della messa in scena però Pain and Gain possiede una strana, interessante vena anrchica che, quando sfocia esplicitamente nella commedia nerissima, accende nello spettatore la scintilla dell'interesse. Bay, che anche se lo volesse non riuscirebbe a lavorare in sottigliezza - e ovviamente non l'ha mai voluto - non risparmia alcuni momenti di seria follia cinematografica, tanto scorretta da diventare beatamente ilare. Mark Wahlberg, Dwayne Johnson e Anthony Mackie gli vanno dietro con un'incoscenza che a tratti ha del sublime. Certo, se il regista e gli attori avessero saputo dosare i toni, il risultato sarebbe stato ben più efficace.Il film rimane in questo modo sospeso a mezz'aria: non è un action-movie classico, non è una commediaccia al vetriolo sulla stupidità umana, non è una velenosa critica sociale del sistema di vita americano. O forse è tutte e tre queste cose, ingredienti aggiunti a palate invece che mescolati con sapienza. E' Michael Bay, non ci si può né deve aspettare finezza....




venerdì 3 maggio 2013

Recensione Iron Man 3 - "We create our demons"



Voto 6/10

Lo ammetto: sono rimasto piacevolmente sorpreso da questo terzo capitolo delle avventure di Tony Stark e del suo supereroe robottizzato. Shane Black - già autore proprio insieme a Robert Downey Jr. di un piccolo cult come Kiss Kiss, Bang Bang - ha completamente ribaltato le premesse che mi avevano fatto cordialmente detestare il primo episodio, blockbuster che avevo trovato pesantissimo nel suo essere filoamericano. Se ricordate bene, per tutta la prima metà del primo Iron Man Tony Stark e tutti quelli che gli giravano intorno andavano ripetendo ogni cinque minuti il concetto che "Ottieni la pace soltanto se hai l'arma più grossa". Il consenso neppure troppo sotterraneo alla politica interventista (si potrebbe addirittura osar dire colonialista, no?) degli Stati Uniti veniva sbattuto in faccia al pubblico con una sfrontatezza che aveva del grossolano. Anche se divertente come solito giocattolone hi-tech, quel lungometraggio mi aveva irritato non poco, nonostante la presenza dell'idolo Jeff Bridges.
Adesso invece il messaggio preciso e perfettamente sviluppato di Iron Man 3 è "Siamo noi a crearci i nostri demoni". E il film racconta con lungimiranza proprio questo, di un eroe (specchio di una nazione, inutile fa finta di no) che deve fare i conti con le proprie paure, soprattutto quelle autoindotte. Senza voler fare assolutamente alcuno spolier, vorrei far arrivare ai lettori l'idea che Iron Man 3 riflette con arguzia su un'America terorizzata da nemici virtuali, da spauracchi che andrebbero visti e analizzati alla luce di ben altre prospettive. Il Mandarino di Ben Kingsley esteticamente rimanda alla figura dei tanto demonizzati terroristi mediorientali, e secondo me non è assolutamente una coincidenza. Lo sviluppo della trama getta degli interrogativi che, se letti appunto come metafore dell'isteria di massa tutta americana e come un'analisi che andrebbe seriamente condotta su come si è arrivati a questo stato di tensione sociopolitica, sono tutt'altro che scontate. Il seme del dubbio che Iron Man 3 pianta lo rende un film molto più politico e intelligente di quanto avrei mai potuto immaginare dopo i primi due episodi. Bravo Shane Black.
Ma ovviamente bisogna parlare anche dello spettacolo, che è in linea con quanto il franchise ha settato in questi anni. Visivamente Iron Man 3 non è eccelso, in alcuni momenti gli effetti speciali sembrano anche piuttosto tirati via. Però ha un buon ritmo, momenti che superano la facile ilarità per diventare veramente divertenti (inchino meritatissimo a Sir Ben Kingsley), un finale intelligente che riserva un ruolo più corposo e gagliardo a Gwyneth Paltrow. Finalmente vediamo Pepper tirare cazzotti, e che cazzotti! Purtroppo la patina vagamente retrò non sempre coglie nel segno, soprattutto nei pessimi flashback.  Altro nota ahimé dolente l'interpretazione macchiettistica di Guy Pearce, davvero insostenibile. Rebecca Hall è come al solito bellissima da ammirare, ma come attrice non sta progredendo, anzi.
Andate a vedere quindi Iron Man 3, gustatevelo con il popcorn e la Coca-Cola come merita, ma tornando a casa pensate un po' a cosa avete visto e cosa vi ha raccontato dell'America di oggi. Scoprirete un lato nascosto del film che probabilmente ve lo renderà un pizzico più prezioso.

giovedì 2 maggio 2013

Il grande Gatsby - Foto dall'anteprima mondiale a New York

Si è tenuta al Fisher Theater del Lincoln Center a New York l'anteprima di uno dei film più attesi del 2013, The Great Gatsby di Baz Luhrmann, adattamento cinematografico del caolavoro letterario di Francis Scott Fitzgerald. Grazie alla tempestiva segnalazione della mia collega Eva Carducci, sono riuscito a intrufolarmi tra la folla che ha assistito delirante al red carpet del film, dove hanno partecipato praticamente tutti i protagonisti: Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Isla Fisher e Joel Edgerton. Queste le migliori foto che sono riuscito a raccogliere.

Leonardo DiCaprio



























Carey Mulligan


Tobey Maguire

Isla Fischer

Joel Edgerton
Baz Luhrmann e Catherine Martin

Florence Welch

Michael C. Williams

Il Fisher Theater, Lincoln Center



martedì 30 aprile 2013

Let's get western! Maratona a Williamsburg

Senza mezzi termini, ho trovato il mio locale preferito a New York.
Si tratta di Videology, pub/videoteca che ha allestito una meravigliosa saletta di proiezione per passare serate all'insegna del grande cinema. E ogni martedì sera Movie Trivia!
L'occasione per andare in questo nuovo luogo di culto (e di futuro pellegrinaggio da parte mia, già lo sento...) è stata la presentazione del western ultraindipendente Dead Man's Burden, diretto da Jared Moshe. Per attirare il pubblico Videology e il regista del film hanno organizzato una vera e propria maratona western, cominciata a mezzogiorno e terminata all'una di notte inoltrata. In sequenza sono stato proiettati:

Sentieri selvaggi (The Searchers, 1956) di John Ford
C'era una volta il West (Once Upon a Time in the West, 1968) di Sergio Leone
Il cavaliere della valle solitaria (Shane, 1953) di George Stevens
Winchester '73 (id., 1950) di Anthony Mann
Dead Man's Burden (2013) di Jared Moshe
Gli spietati (Unforgiven, 1992) di Clint Eastwood

Se un minimo come me siete appassionati di western, avreste ripercorso o quasi tutta la grande storia di questo genere. Moshe ha presentato ognuno di questi film e ha spiegato perché lo ha inserito nella lista. Alla fine del suo lungoemtraggio c'è stato poi anche il classico dibattito col publbico (purtroppo non troppo numeroso, ahimé...), in cui il regista ha spiegato che in realtà c'era anche un settimo film nella lista, Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969) di Sam Peckinpah - e vorrei anche vedere!!! - ma che è stato costretto a tagliarlo per motivi di tempo.
Considerato che Gli spietati è fuori classifica perché lo amo troppo, il film che mi ha emozionato di più è stato Sentieri selvaggi: la Monument Valley come set viene adoperata da John Ford in maniera incredibile, e l'ultima inquadratura di Ethan Edwards/John Wayne che si allontana ripreso da dentro la casa ancora oggi da i brividi, ma brividi veri! Il più brioso e divertente è stato senza dubbio Winchester '73, una sceneggiatura pazzoide ma ritmata alla perfezione. Del film di Leone, come ogni volta che lo vedo, ho adorato il grandissimo Cheyenne di Jason Robards e la sensualità strabordante di Claudia Cardinale, una vera e propria dea in questo film.
Il culmine della serata per me è stato proprio alla fine, quando sono rimasto solo nella saletta a vedermi per l'ennesima volta Unforgiven. A un certo punto il barman è entrato e, come premio per la mia lungimiranza - unico spettatore a vedere l'intera maratona, vero ORGOGLIO NERD!!! - mi ha offerto popcorn e birra gratis!

Alla fine sono rientrato a casa che erano le due passate, vagamente stanchino e, non posso negarlo, anche soavemente brillo. Ma prima di tutto totalmente felice per essermi fatto questa scorpacciata di grandissimo cinema e di aver scoperto Videology.

P.S. - Dopo aver (ri)visto Il cavaliere della valle solitaria mi sono accorto che in realtà Il cavaliere pallido (Pale Rider, 1985) di Eastwood ne è un remake non dichiarato. O lo è? In tal caso proprio non lo sapevo...






domenica 28 aprile 2013

Clint e l'ultima beffa del Tribeca



Il Tribeca Film Festival è terminato, e state pur certi che non ne sentirò la mancanza.
Qualità dei film piuttosto scarsa, a parte i pochi che vi ho segnalato nei post dei giorni scorsi. Possibilità di ottenere interviste praticamente nulla, se non partecipando alla baraonda dei red carpet, il che significa di solito spintonare i colleghi, ottenere riprese audio e sonoro non ottimali e parlare con attori e registi per pochi, confusi secondi.
Poi, soprattutto, per fare un red carpet bisogna essere intraprendenti, briosi e avere un minimo di faccia tosta, qualità che a me mancano del tutto.
Dal momento che il tappeto rosso di ieri pomeriggio sarebbe stato attraversato da un certo Clint Eastwood, mi sono forzato a chiedere di poter partecipare. Quando la mail di risposta con la disponibilità è arrivata solo cinque minuti dopo la mia richiesta avrei già dovuto insospettirmi. Come mai la stessa organizzazione festivaliera che mi ha concesso soltanto un'intervista in tutta la kermesse mi lascia poi andare all'evento più prestigioso? L'avrei scoperto il mattino dopo, a mie spese...
Check-in della stampa alle 13:00, poi tre quarti d'ora per aspettare che i talent inizino a percorrere il tappeto rosso e fermarsi per le interviste. Io, come da prassi, arrivo alle 12:40, e vi assicuro che per i miei standard è un anticipo anche contenuto...
Mi assegnano il mio posticino dietro la balaustra bianca, accanto a una coppia di colleghi israeliani con cui iniziamo una bella chiecchierata su Clint Eastwood, Darren Aronofski (entrambi devono partecipare a questo incontro col pubblico) e il loro cinema. Man mano che si avvicina l'ora dei primi arrivi comincio a essere più teso, non avendo mai fatto questo tipo di interviste d'assalto, diciamo così. Ricontrollo dieci volte il mio iPad per fare il video, ripasso le domande da fare ai due cineasti ed evetuali "generiche" per altre possibili celebrità che si fermeranno a chiacchierare con noi. Inizio ad essere talmente nervoso che quando arriva la notizia che si tarderà qualche minuto sono quasi sollevato. Anche se è quasi un'ora che sto fermo in piedi e la schiena comincia a scricchiolare. Sapete, non sono più un ventenne. E comunque mi scricchiolava già a quell'età...
Un altro indizio che mi avrebbe dovuto far capire che tutto sarebbe andato storto è che sul red carpet ieri di giornalisti ce n'erano davvero pochini: almeno metà del corridoio era vuoto, e noi eravamo stati spostati e ammassati tutti nella prima parte. Un collega mi ha giustamente fatto notare che il festival stava finendo, e per di più si trattava di un bel sabato di sole. Perché passarlo ad aspettare ore per fare se va bene due minuti d'intervista? Domanda tutt'altro che retorica...

Alle 14:00 circa una delle assitenti dell'ufficio stampa del Tribeca ci viene a dire che Mr. Eastwood arriverà probabilmente verso le 15:00 (!!!) e non è sicuro si fermi a fare né le interviste né il photocall, visto il ritardo.
Bene. Perfetto.
Io comunque decido di aspettare, perché anche una frase scambiata al volo con una leggenda come lui merita il sacrificio, almeno per me. L'ho già incontrato lo scorso settembre quando ha presentato Trouble With the Curve, e posso assicurarvi che è così.
Però un conto è non fermarsi con la stampa, un conto è sbucare all'improvviso da una porta di servizio e percorrere di corsa il red carpet. Questo è successo verso le 14:50, quando Clint Eastwood, accompagnato da pochi membri dello staff, ha non troppo simpaticamente snobbato chi stava in piedi da circa due ore ad aspettare di incontrarlo. Per carità, niente di tragico, in questo mestiere sono cose che capitano. Alla fine l'unica cosa che sono riuscito a fare sono le due fotografie che vedete in questo post.
Passato Eastwood in maniera così repentina (prego leggere la frase con una punta di sarcasmo...), molti colleghi si sono diretti a protestare con le publicist, che si rimpicciolivano piuttosto imbarazzate e adducevano la scusa che, visto il tremendo ritardo, Clint proprio non poteva fermarsi.
- Ma almeno Darren Aronofski? Chiede una giornalista.
- Dovrebbe arrivare tra circa mezz'ora...
- E Eastwood allora non poteva fermarsi se comunque doveva aspettare Aronofski?
Silenzio imbarazzato
- Ma Darren si fermerà a parlare coi giornalisti?
- Non posso assicurarvelo...
Di sicuro con me Darren non avrebbe parlato. Non ho neppure lasciato che la ragazza finisse la frase: ero già diretto verso la metro.
Questo è stato l'ultimo atto di diceci giorni di tribeca Film Festival.
Speriamo nel prossimo anno. Perché tanto, già lo so, io ci ricascherò e parteciperò entusiasta...